L’esposoma: un concetto innovativo in ambito di salute ambientale
Il concetto di esposoma pone nuove sfide nella valutazione della relazione tra esposizione ambientale e salute
Il concetto di esposoma è stato definito nel 2005 dall’epidemiologo Christopher Wild, al fine di indicare la globalità dell’esposizione ambientale a partire dalle origini della vita. Numerose evidenze scientifiche dimostrano infatti che la variabilità genetica non può da sola spiegare la variabilità del rischio di sviluppare malattie croniche; l’esposizione ambientale e l’interazione con i fattori genetici svolge evidentemente un ruolo importante in tale ambito. Tuttavia, l’attuale conoscenza dei fattori ambientali che possono contribuire allo sviluppo di malattie come, ad esempio, asma, allergie, obesità e diabete, è limitata. Probabilmente i principali fattori di rischio ambientali non sono ancora noti o gli effetti sulla salute sono sottostimati o, ancora, le esposizioni che hanno maggiore impatto sulla salute agiscono in sinergia con altri fattori biologici o comportamentali. Il concetto di esposoma, seppur molto affascinante, rappresenta una vera e propria sfida in ambito di ricerca scientifica. L’accurata valutazione dell’esposoma richiede infatti numerose misurazioni che si basano sull’applicazione di differenti e dispendiose tecnologie. Inoltre, valutare l’associazione fra molteplici esposizioni e gli effetti sulla salute, rappresenta una sfida anche in ambito metodologico. In particolare, gli attuali metodi statistici in uso non riescono a discriminare correttamente i diversi fattori che realmente influiscono sulla salute. Ciononostante, alcuni progetti sullo studio dell’esposoma sono già in corso in Europa e negli Stati Uniti, trainati dall’idea che una migliore conoscenza dei fattori di rischio ambientali e del loro impatto sulla salute possa aprire la strada a sempre più efficienti strategie di prevenzione.
FONTE: Siroux V, et al. The exposome concept: a challenge and a potential driver for environmental health research.Eur Respir Rev. 2016;25:124-9.