Un recentissimo studio italiano ha analizzato il problema della disbiosi intestinale nella FC, disturbo che sembrerebbe correlato alla ridotta attività della stessa proteina CFTR e che potrebbe rispondere al trattamento con probiotici.
Negli ultimi 20 anni, il microbiota intestinale dei pazienti affetti da fibrosi cistica (FC) è diventato oggetto di studio: è stato dimostrato che questi pazienti presentano una disbiosi intestinale, correlabile non solo alle manifestazioni intestinali della malattia, ma in parte anche a quelle dell’apparato respiratorio.
Un recente studio italiano, pubblicato sulla famosa rivista Nutrients, ha approfondito questo tema, analizzando i dati attualmente disponibili sull’argomento.
Secondo le conoscenze attuali, la disbiosi intestinale in FC sarebbe correlata alle stesse mutazioni del gene CFTR che condizionano la funzionalità della proteina-canale da esso codificata, determinando il quadro clinico della malattia. La disfunzione del canale del cloruro CFTR porta alla formazione di muco denso, che si accumulerebbe lungo le superfici dei villi intestinali, venendo eliminato lentamente e favorendo così l’adesione e la colonizzazione batterica anomala. Il malassorbimento dei nutrienti alimentari, soprattutto della componente grassa, tipico in FC, è associato alla comparsa di alcuni microrganismi che si adattano meglio a tale condizione, come alcuni ceppi di Escherichia Coli. Pertanto, alcuni batteri “buoni”, come lattobacilli e bifidobatteri, sembrerebbero essere in parte o del tutto “scomparsi” nell’intestino dei pazienti con FC, a discapito delle specie patogene, come appunto Escherichia Coli. Tutto ciò, associato ad una ridotta biodiversità dei batteri intestinali, contribuirebbe a creare la disbiosi sin dalle prime settimane di vita.
Inoltre, a differenza dei soggetti sani, nei quali il microbiota intestinale si sviluppa rapidamente raggiungendo la composizione definitiva tra i 3 e i 5 anni di età, nei bambini con FC la maturazione del microbiota intestinale appare significativamente più lenta. Tali differenze sembrerebbero persistere anche in età adulta e sarebbero correlate alla gravità delle manifestazioni cliniche della FC. Infatti, i soggetti con disfunzione polmonare grave (% FEV1 predetto ≤ 40%) presenterebbero una diversità del microbiota intestinale significativamente ridotta rispetto a quelli che hanno una disfunzione lieve o moderata. In aggiunta, alcuni interventi terapeutici, come dieta ad alto contenuto di grassi, uso di antibiotici e somministrazione di antiacidi, frequenti nei pazienti FC, potrebbero aggravare la situazione, motivo per cui si è pensato ad un possibile trattamento con probiotici.
L’impatto dei probiotici sulle persone affette da FC è stato analizzato nella più recente revisione sistematica Cochrane, che includeva 12 studi, per un totale di 464 partecipanti tra bambini e adulti FC. Considerando il numero di esacerbazioni polmonari nell’arco di 4-12 mesi, è stato calcolato che i pazienti che hanno ricevuto un probiotico hanno sofferto di 0,32 episodi in meno rispetto ai controlli a cui è stato somministrato un placebo, ma tale differenza non aveva sufficiente valore statistico. Inoltre, non è ancora stato possibile definire quale miscela di ceppi probiotici sia più indicata in questi pazienti.
In conclusione, i dati attualmente disponibili non possono essere considerati sufficienti per indicare che i probiotici siano essenziali nella terapia della FC e nella riduzione della frequenza di esacerbazione della malattia, ma occorrono ulteriori studi sull’argomento.
Bibliografia
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Articolo a cura di Annamaria Sapuppo
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