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2024 16 GEN

RSV, cos’è successo in questi ultimi anni? Pronti a pagare il debito immunitario, ma forse c’è anche dell’altro.

Il virus respiratorio sinciziale (RSV) è un virus endemico, presente in tutto il mondo, agente patogeno numero uno tra quelli che sono responsabili di infezioni respiratorie acute nel bambino. In questi anni qualcosa ha portato ad un radicale cambiamento epidemiologico nella presentazione del virus, cerchiamo qui di seguito di capire quali siano i reali fattori che hanno portato a tutto questo: debito immunitario o mutati modelli di contatto interumano? Che ruolo ha effettivamente la maturazione delle vie aeree del bambino nel limitare il rischio di infezione da RSV?

In genere sono maggiormente coinvolti bambini sotto ai 5 anni di età e in particolare neonati e bambini sotto l’anno di vita, la cui infezione è spesso gravata da un maggior tasso di complicanze e di ospedalizzazioni, che necessitsano talvolta di terapie con ossigeno.

Nelle nostre latitudini l’RSV è un virus altamente stagionale, che colpisce maggiormente in inverno.

In passato l’infezione da RSV tendeva a riguardare progressivamente meno i bambini di età superiore all’anno di vita, questo perché è noto che l’esposizione ripetuta al virus generi un certo grado di immunità.

La stagionalità regolare del virus, ogni anno, colpiva i nuovi nati con un tasso di infezione pressoché costante e garantiva un tasso di immunizzati altrettanto costante, elemento che, associato all’intrinseca maturazione dello sviluppo delle basse vie aere respiratorie (fattore che di per sé riduce il rischio di infezione), portava ad una progressiva riduzione del numero di casi di bambini infetti sopra all’anno di vita.

A partire dal 2020, tuttavia, abbiamo assistito ad un sovvertimento completo dell’epidemiologia di questo virus, che dapprima è praticamente scomparso durante tutto il 2020 e che, successivamente ha iniziato a ripresentarsi senza più seguire la consueta stagionalità, talvolta settimane o mesi prima della consueta epidemia, colpendo coorti di bambini di età sempre maggiore.

Quest’ultimo dato è dovuto sostanzialmente alla genesi, durante il biennio 2020-2021 di un’ampia coorte di bambini “naive” all’RSV, dato che viene definito da molti “debito immunitario”, presupposto che deve necessariamente far riflettere sull’ondata ormai passata di RSV del 2023 e sulle possibili ondate di RSV che ci attenderanno nei prossimi anni.

Recenti studi di modellizzazione hanno analizzato come l’accumulo di questo “debito immunitario”, dovuto sostanzialmente a tutti quegli accorgimenti che nel biennio 2020-2021 sono stati messi in atto per proteggerci dall’infezione da SARS-Cov2, potrebbe provocare epidemie sempre più precoci e più estese, influenzando la stagionalità del virus per alcuni anni a venire.

A tal proposito uno studio recente ha calcolato che, in assenza di restrizioni di contatto, la stagione 2021-2022 avrebbe presentato circa il 51% di casi ospedalizzati in più in tutti i bambini di età inferiore ai 5 anni rispetto agli anni pre-pandemia, incremento maggiormente pronunciato nei bambini di età superiore all’ anno di vita.

A questo ovviamente si somma anche il ruolo che le mutate condizioni climatiche invernali hanno sulla circolazione del virus e l’inevitabile incremento dei contatti interpersonali che necessariamente è aumentata negli ultimi due anni, anche se da indagare sarebbe l’attuale modello di contatto interpersonale, che dopo la pandemia da Covid-19 è inevitabilmente mutato, cambiando il pattern di trasmissione interumana di questo e di tutti i virus circolanti.

Un aspetto interessante è che la soppressione delle infezioni nel biennio 2020-2021 ha fatto sì che venisse rimosso completamente il fattore “esposizione al virus”, ma non cambiasse quello della maturazione delle vie aeree, consentendoci di analizzare meglio quale sia effettivamente il ruolo dell’acquisizione dell’immunità e quale quello della maturazione delle vie aeree nel definire l’epidemiologia dell’infezione.

L’analisi dei dati, resa possibile da questa particolare circostanza, ha permesso di effettuare ulteriori studi e di stimare la durata dell’immunità contro l’infezione da RSV: dai 7 mesi a 1 anno (dato reso un po’ più complesso dalla parziale evasione immunitaria da parte dei suoi sottotipi A e B).

La nostra conoscenza di ciò che determina la suscettibilità alla malattia da RSV nei bambini rimane, però, ancora incompleta.

Ciò che emerge da numerosi studi sembrerebbe portarci a pensare che il rischio di reinfezione sia ridotto in presenza di anticorpi specifici per RSV, anche se altri studi hanno dimostrato che questa immunità acquisita potrebbe non essere sufficientemente duratura da coprire la reinfezione con lo stesso ceppo nella stagione successiva o comunque non sufficiente a garantire una copertura totale.

Secondo uno studio di coorte comprendente 635 bambini in Kenya, si verificava una riduzione del 70% del rischio di infezione dopo la prima e del 59% dopo la seconda infezione per circa sei mesi; la gravità dell’infezione era invece correlata all’età del bambino.

In sintesi gli studi che correlano il ruolo dell’età (e quindi il grado di maturazione delle vie aeree), il ruolo dell’immunità pregressa e l’aumento del tasso di infezione non sono molti, ma la maggior parte di questi sembra attribuire un ruolo limitato all’età del bambino nell’influenzare l’insorgenza della patologia (riduzione del rischio di infezione di meno del 10% nei bambini di età compresa tra 1 e 4 anni rispetto ai neonati) e un ruolo maggiore, ma comunque, marginale dell’immunità acquisita (riduzione del rischio di reinfezione dopo un’infezione RSV pregressa che si attesta tra il 25 e il 70%).

Questo spiega il fenomeno che si è verificato dopo la pandemia, si ammalavano di bronchiolite bambini più grandi, tendenzialmente coloro che non erano mai stati esposti al virus, perché isolati socialmente durante la pandemia.

Ciò che ad oggi è risultato determinante e che influisce davvero sulla trasmissione di questa patologia sono i cosiddetti “modelli di contatto interumano”, che sono in grado di modificare radicalmente l’epidemiologia della patologia e questo è stato ampiamente dimostrato con la pandemia da SARS-Cov2.

Su questo pertanto è necessario riflettere, perché è su questo che potremo lavorare, soprattutto a livello di strategie preventive, per tornare a modificare l’impatto che tale patologia ha e ha avuto sui nostri piccoli pazienti.

 

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Articolo a cura di Giulia Canali